Spiedo, il segreto degli uomini bresciani

Lo spiedo è da sempre il principe della più profonda tradizione culinaria bresciana.Ogni bresciano, di nascita o acquisito, è orgoglioso di questo mito e non vede l’ora di condividere con gli amici, soprattutto se “stranieri” le gioie di un bel piatto di spiedo e polenta, accompagnato da un buon vino rosso.
Non esiste un solo spiedo bresciano
Qual è il migliore? Come dice anche la poesia di Carducci, lo spiedo è una questione fra cacciatori. Il termine stesso “spiedo” deriva dal latino, spetus, e indica un’arma bianca di legno con un’aguzza punta di metallo usata da soldati e cacciatori. Ancora oggi lo spiedo è per cultura e tradizione gene unico nel DNA degli uomini bresciani che vedono in questo rito una dichiarazione di potere e superiorità.
Lo spiedo è una questione di famiglia
Si aprono da sempre sfide private, fra gli uomini della stesse famiglie per decretare il re dello spiedo e di conseguenza il vero “pater-familias”, e pubbliche, come la “disfida degli spiedi” di Salò che vede la partecipazione di centinai di candidati pronti a costudire gelosamente i loro segreti. Ogni zona ha il proprio modo di spiedare, come ogni uomo ha il proprio segreto sulle carni, sulle quantità ma soprattutto sul condimento.
Un po’ di storia dello spiedo
Lo spiedo più antico nasce a Brescia come unico modo per inserire nell’alimentazione del popolo una porzione di proteine e per questo prevedeva l’utilizzo dei soli uccellini e della piccola selvaggina, gli unici tipi di carne che si aveva il permesso di cacciare nelle riserve dei nobili. Con il tempo vennero poi inseriti quelli che in dialetto bresciano si chiamano mumbuli, o lomboi: fette di lonza o di coppa di maiale, specialmente nell’area del valsabbino, salati e arrotolati su una foglia di salvia e una fettina di pancetta.
Come lo spiedo è cambiato nel tempo
Le cose oggi sono un po’ cambiante: la recente legge (legge n.157) che vieta la caccia agli uccellini ha determinato l’inserimento all’interno dello spiedo di porzioni di pollo e coniglio principalmente nei paesi fra la Val Verde e la val Sabbia, mentre sul Garda troviamo innovatori che si cimentano con l’uso di anguille. Sempre sul Garda, si ama utilizzare le patate per intervallare le singoli porzioni, usanza guardata con sospetto dai più rigorosi veterani dello spiedo. Nel territorio della Bassa, invece, si sono predilette le carni di quaglie, allodole e beccaccini
L’importanza dei condimenti
E’ essenziale che le carni non siano troppo secche o troppo bagnate e che la grandezza dei singoli pezzi sia uniforme, per garantire una cottura adeguata.
La più antica tradizione prevede l’uso di sale e di burro, possibilmente nostrano, come dicono i bresciani, cioè prodotto sul territorio. Esistono però alcune varianti gardesane che prediligono l’uso dell’olio d’oliva o all’inizio o come ultimo bagno prima di essere gustato. Altri ancora, ritengono che il vero segreto sia bagnarlo con il vino bianco o rosso, a seconda delle convinzioni, a inizio cottura.
La cottura è paziente come il cacciatore che aspetta appostato il passaggio della preda. Lo spiedo deve girare inesorabile per almeno quattro ore sulle braci e deve essere bagnato ad intervalli regolari con “l’untino” che viene rilasciato dal burro e dal grasso della carne per mantenerne la morbidezza.
Per lo spiedo bresciano: un buon rosso del territorio
Anche la scelta del vino non è casuale: il vino deve essere prima di tutto corposo e avere un’adeguata gradazione, sono assolutamente banditi i vini troppo “slavati”. Il vero bresciano sceglierà sempre e comunque un “buon franciacorta”, ma i palati più raffinati e alla scoperta sempre di nuovi sapori non disdegneranno anche un “rosso” toscano.
Per lo meno, per dimostrare la propria ospitalità e la propria dominanza del territorio che fin dai tempi antichi ci fornisce tutto ciò che ci serve non solo per la sopravvivenza ma anche per vivere bene in civiltà.